Un argomento che divide da tempo il web. A tratti i toni si alzano fino a diventare una lotta: l’influencer può essere un lavoro? La Repubblica risponde con un sì e lancia un’intervista che ha scosso l’attenzione di chi lavora nel digital marketing: “Sono una web influencer. Così il blog è diventato un lavoro”.
La blogger Alessandra Airò racconta la sua avventura ed esperienza nel mondo del web marketing, evidenziando l’attività come fashion blogger. “Sono una web influencer, è la definizione più completa – sottolinea Alessandra – perché io lavoro esclusivamente per il web”. In questo modo coglie al volo la differenza tra influencer e celebrity: la prima è legata indissolubilmente al mondo online.
La madre di Little Snob Thing sottolinea un aspetto essenziale del content marketing. C’è differenza tra i diversi canali, il taglio di Instagram è diverso da Twitter e dal blog. In particolar modo quest’ultima piattaforma può essere usata per raccontare in maniera puntuale un’esperienza o un prodotto.
Perché questo è, a conti fatti, il lavoro di Alessandra: trasformare in storytelling un capo d’abbigliamento. La sua penna mette in una cornice interpretativa un bene o un servizio, e trasforma l’inchiostro digitale in uno strumento per fare marketing. Anzi, diciamolo a chiare lettere: per aumentare le vendite e portare dei benefici economici. Questo può essere considerato un lavoro? Per me la risposta è sì.
Il ruolo del web influencer nella strategia
Se fatturi vuol dire che lavori. La maggior parte delle opinioni contrarie si basano su incomprensioni, nascono da antipatie nei confronti di chi si definisce influencer. O sono legate a una non conoscenza del ruolo: basta leggere i commenti del video per capire che non c’è molta chiarezza sul lavoro di influencer. Ma ascoltando le parole di Alessandra si coglie la dedizione di chi sviluppa il progetto nel corso dei mesi.
“Little Snob Thing è nato sei anni e mezzo fa, non è nato con un’idea commerciale dietro: è cresciuto con il tempo, è cresciuto con me in questi sei anni e mezzo. Ho cominciato facendo molta più moda, a un certo punto mi è sembrato un po’ riduttivo (…). Quindi ho iniziato a raccontare quello che faccio, quelli che sono i miei interessi”.
Immagino la storia di questo blog. Viene aperto un po’ per caso e un po’ per impegnare il tempo, poi cresce e si fa conoscere. Aggiusta il tiro e capisce che non c’è un unico argomento da affrontare: dalla moda si passa al lifestyle. Perché così è facile raccontare il proprio punto di vista. Ed è quando si incrociano fattori qualitativi e quantitativi che il network di un blogger diventa utile.
Diventa uno strumento per fare marketing. Molti dicono che l’influencer non è un lavoro, è solo un’etichetta che si attribuiscono le blogger per darsi un tono. Chiaro, gli eccessi sono dietro l’angolo. Ma c’è una materia che risponde al nome di Influencer Marketing, ci sono professionisti come Matteo Pogliani che scrivono libri e aziende che sfruttano queste strategie per portare vantaggi concreti.
Sei un influencer? Conosci Virality?
La professionalità di un lavoro nuovo
Perché, quindi, il web influencer non dovrebbe essere un lavoro? Perché non dovrei essere riconosciuto come un professionista? dedico tutte le energie per rendere i miei spazi sempre più adatti alle necessità del pubblico. E delle aziende. In fin dei conti cosa è il web influencer? Uno strumento.
Uno strumento legato all’inbound marketing che segue la logica dell’utilità. Del far trovare alle persone giuste il messaggio che stanno cercando. Ma ciò che un influencer pubblica sul suo blog è un prodotto che pochi riuscirebbero a confezionare. Perché da un lato sponsorizza, crea dei contenuti per spingere un’azienda, dall’altro deve rispettare la community.
La maggior parte delle voci che criticano e offendono il lavoro degli influencer ignorano il grande equilibrio che bisogna coltivare per nutrire un gruppo coeso che può rinnegarti da un giorno all’altro. Basta un passo falso per ritrovarsi con un pugno di mosche. Alessandra Airò parla di un attento lavoro di selezione dei clienti e io credo nelle sue parole.
Perché un web influencer deve la sua forza a due grandi elementi: l’onestà e il gusto. Devi essere corretto nei confronti di chi legge i tuoi articoli. Sono disposto ad accettare e godermi un contenuto sponsorizzato, ma deve essere riconosciuto come tale. Non devi propormi false scelte editoriali: devo avere indicazioni chiare sui tuoi rapporti commerciali, cosa che Alessandra fa nel footer del blog.
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La sintesi è la fiducia
Il secondo punto è il gusto. Ovvero la capacità del web influencer di intercettare e interpretare i desideri del pubblico. Senza tradire le aspettative. Perché qui puoi fare danni, qui puoi cadere rovinosamente.
Basta accettare un lavoro solo per l’aspetto economico e perdi tutto. Beh, forse non è proprio così tragica la situazione ma la regola degli sneezer descritta da Seth Godin è chiara: ogni volta che starnutano (condividono), gli influencer perdono forza. Quindi devi valutare con cura le sortite.
Ovvero le pubblicazioni. Tutto si basa sulla fiducia, e questo vale per chi fa native advertising ma anche per l’influencer. Per chi ospita sul proprio blog le firme che vogliono raggiungere una determinata nicchia. Ci sono delle esigenze specifiche, ci sono delle necessità in termini di strategia. Gli influencer aiutano a chiudere il cerchio: secondo te questa è una figura professionale riconosciuta?
Il web influencer può essere un lavoro?
Il web influencer è un lavoro nel momento in cui fattura per erogare servizi. E il blogger è un professionista affermato se riesce a mettere su carta i vantaggi che i clienti registrano quando si affidano alle sue attenzioni. Ci sono degli eccessi, sono d’accordo. Ma ci sono tante campagne di influencer marketing che dimostrano un punto importante: il pubblico si fida delle persone.
Non dell’azienda, delle persone. Perché uno che stampa volantini che offrono un ROI non misurabile è un professionista, mentre un blogger che ti porta un aumento delle vendite tracciabile no? Prima iniziamo a vedere il mondo degli influencer – con tutti i suoi limiti – come complementare a quello del marketing e meglio è. Questa è la mia opinione personale, ora aspetto la tua nei commenti.