Quando parlo di adblocking sai a cosa mi riferisco? Sotto questa etichetta si riassume un paradigma: prima le pagine web erano invase da banner, video, pop up capaci di far perdere la calma a un monaco buddista. Poi all’improvviso la soluzione: installa un plugin sul browser e naviga sereno.
Un esempio su tutti: AdBlock per Google Chrome. Grazie a questo add-on puoi impedire alle pubblicità di affollare il tuo monitor. In questo modo sfogli i contenuti senza problemi ma, al tempo stesso, dai il colpo di grazia a un’economia già in difficoltà. Come fanno a guadagnare i blogger e gli editori che sfruttano i programmi come AdSense?
E i quotidiani? Basta andare su uno dei principali titoli nazionali per avere il polso della situazione. D’altro canto le headline al limite del click baiting parlano chiaro: queste realtà si basano solo sulle visite, sui click che raggiungono i banner. Ma oggi tutto questo è in pericolo: AdBlock decapita il potere contrattuale dei grandi giornali e dei piccoli editori.
Ecco perché c’è tutto questo interesse intorno all’inbound marketing: in questo modo non investi sui banner che interrompono la fruizione, ma diventi parte della dieta mediatica. Sei l’articolo che le persone cercano, sei il post su Facebook che appare quando il cliente ha bisogno della tua offerta: non interrompi ma di fai trovare.
In questo processo si inserisce il native advertising: una strategia che ti permette di diffondere contenuti di qualità su piattaforme in target per promuovere il tuo brand. Senza soluzione di continuità con il piano editoriale, senza infastidire il pubblico con messaggi autoreferenziali e promozionali. Anzi, l’esatto opposto: il native advertising è integrato.
Ecco perché diventa sempre più centrale: i possibili sviluppi del native advertising puntano verso l’alto e l’uso di adblocking si impenna. Non solo su desktop, anche da mobile: sulla pagina di Secret Key ho trovato questa ricerca dedicata agli sviluppi dell’adblocking, sfogliamoli insieme.
Da leggere: native advertising, come è cambiato in un anno
Quante persone usano adblocking da mobile?
Secondo la ricerca condotta da Pagefair il numero è impressionante: 419 milioni di utenti, il 22% della popolazione mondiale in possesso di uno smartphone, usano un dispositivo per bloccare la pubblicità prima ancora che arrivi sullo schermo.
Quali sono le principali tecnologie? La risposta è chiara: mobile adblocking browser, programmi per navigare che bloccano l’advertising. Ecco un annuncio su The Verge: “Samsung is today adding support for content and ad blocking plugins to the web browser preinstalled on its Android phones”. Questo si traduce in prestazioni eccellenti per chi naviga da mobile: “The first content blocker available for Samsung’s Internet is Adblock Fast, (…) the plugin decreases load times on Android by an average of 51 percent”.
Quante persone usano i mobile adblocking browser? Ben 408 milioni. Questo dato ha delle sfumature geografiche: l’uso delle tecnologie per fermare la pubblicità dal telefonino è più sviluppata in Asia, dove si toccano cifre superiori rispetto all’Europa e agli Stati Uniti. In particolar modo abbiamo 159 milioni di utenti che usano adblocking in Cina, 122 in India e 38 in Indonesia.
In Europa e in America, invece, tocchiamo quota 14 milioni.
Nel frattempo le app per bloccare l’advertising crescono lentamente. La possibilità di avere già un filtro all’interno del browser rende tutto più difficile per chi lavora in questo mondo, ma la tempo stesso le previsioni sono positive se si confida nel supporto dei programmi e in una semplificazione del settaggio.
Native advertising da mobile
Non è un caso che le stime di crescita del native advertising siano sempre positive. E che l’attenzione sia rivolta verso uno sviluppo di contenuti adatti allo schermo verticale, da fruire con un’azione semplice come il passaggio del pollice sul monitor.
Nella presentazione di Claudio Vaccaro, già citata in questo articolo di MediaBuzz, si può notare un dettaglio: il tempo trascorso sullo schermo verticale aumenta. A farne le spese, mi sembra ovvio, sono le soluzioni orizzontali: forse è un caso avere tra i formati pubblicitari Facebook Canvas? Qui lo storytelling segue lo scrolling naturale dello smartphone, bastano movimenti semplici per far scorrere la storia.
No, così come non è un caso assistere al successo senza freni di Snapchat. Vale a dire un social network pensato per il mobile, senza legami con il desktop, da fruire attraverso una condizione verticale che ti permette (o ti costringe) a usare lo smartphone in qualsiasi momento della giornata.
La fiducia delle aziende
Come puoi notare dal grafico in alto, tra le aziende italiane c’è una buona propensione nei confronti del native advertising. La direzione appare chiara: bisogna investire sul mobile. In che modo? Attraverso quale struttura? Ecco un esempio descritto da MMAGlobal.com:
Native ad formats are designed specifically for the mobile marketing channel. They are in-feed social, in-feed content, in-feed content, in-map, in-game, paid search, recommendation widgets and custom.
Puoi pensare a una strategia di native advertising per desktop diversa da quella studiata per il mobile. Qui che puoi fare la differenza e andare oltre il concetto di contenuto ordinario, l’articolo basato su testo e immagini, per creare delle campagne dedicate all’esperienza di gioco in un videogame. O alle informazioni che puoi trovare su una mappa.
Secondo te, invece?
Da diverso tempo elenco gli sviluppi del native advertising, cerco di raccogliere le informazioni che descrivono questo mondo. E sono sempre più interessanti. In Italia, però, facciamo ancora fatica a riconoscere questi formati o sbaglio? C’è qualche realtà editoriale che ha iniziato a lavorare bene da desktop e da mobile? Aspetto i tuoi suggerimenti nei commenti.