Lo so, sul blog MediaBuzz ho puntato spesso il dito contro l’arretratezza dell’Italia nei confronti del settore digital. Un’arretratezza che ha radici profonde, e che sostanzialmente si lega a due grandi cause: tecnica e culturale.
Da un lato la banda larga fa fatica a decollare (la copertura a livello nazionale, secondo La Repubblica, è del 22,3%, con un digital divide che arriva a superare il 77%), dall’altro il concetto di web 2.0 non viene ancora applicato ai settori decisivi della vita di un cittadino. La scuola digitale è un sogno, il giornalismo è ancora distante dagli standard anglosassoni e solo una piccola parte dei consumatori sfrutta la convenienza dell’e-commerce.
Colpa della banda larga?
Colpa dell’istruzione che non valorizza le discipline legate alla digitalizzazione del sapere? Colpa dei poteri sedimentati che cambiano tutto in modo che nulla cambi?
Questo immobilismo (che sicuro ha i suoi fondamenti, il caso Italia.it ne è la prova) viene smentito almeno in parte dal titolo “Gli Italiani e la società Connessa”. Ovvero una ricerca condotta da Ericsson in collaborazione con Luiss Business School che punta il dito su un risultato interessante: gli italiani sono ipertecnologici, trascorrono molto tempo online e preferiscono il mobile.
Non a caso – sempre secondo la ricerca Ericsson – il 2015 sarà l’anno del sorpasso: sul pianeta terra ci saranno più telefonini che esseri umani. Inquietante, vero? Soprattutto se pensi a neonati, bambini e anziani che per ovvi motivi non hanno bisogno del mobile…
Fiducia nel digitale
Il dato più importante della ricerca Ericsson, almeno dal mio punto di vista, è quello che indica una gran fiducia nei confronti del progresso, dello sviluppo economico legato con doppio filo a quello digitale.
Detto in altre parole, una maggiore attenzione nei confronti della società connessa porta a un inevitabile progresso economico. Soprattutto quando si affrontano i temi legati a istruzione, servizi pubblici e sanitari.
Intorno ai vantaggi economici ci sarebbero anche quelli legati alla qualità della vita. Più comunicazione digitale tra Stato e cittadino vuol dire meno file, meno attese, meno risorse perse per affrontare una burocrazia che in Italia mantiene ancora dei tratti obsoleti.
Un esempio su tutti: la creazione delle cartelle cliniche digitali. Il 48% del campione crede che questa soluzione sia utile per migliorare lo stile di vita, per agevolare passaggi che ancora oggi sono lunghi e farraginosi.
Ancora un esempio: gli intervistati hanno dimostrato un buon interesse nei confronti delle smart city, delle città connesse che trasformano le informazioni disperse in dati da fruire sul web. Quando passerà la prossima metro? E la fermata dell’autobus? Dove trovo il parcheggio in una determinata zona della città? Tutto questo è smart city, e gli italiani sono affascinati da questa realtà.
Informarsi sul web
Questo discorso può essere applicato a diversi settori della quotidianità, anche all’informazione. Tra gli italiani è in crescita la fiducia nei media online, Il 27% degli intervistati si affida ai portali specializzati in un determinato settore per rimanere informati, e subito dopo (24%) ci sono le piattaforme social.
Un tempo, quindi, la televisione era il parametro definitivo per sincerarsi della qualità di una notizia: oggi abbiamo web. Uno strumento, però, che ha introdotto un problema diverso. Ovvero quello delle fonti.
All’improvviso arriva una notizia, rimbalza una breaking news da un account Twitter ufficiale. Sembra verosimile. Drammatica ma verosimile. Le agenzie battono la notizia, gli articoli arrivano su Google News, la rete indicizza e distribuisce sapere. Ma chi ha verificato la fonte? Chi ha eseguito il Fact Checking? Definiamo insieme questa buona abitudine:
Fact checking è un’espressione inglese che significa verifica dei fatti. Leggendo un articolo o seguendo un servizio televisivo ognuno di noi può notare un’informazione che gli risulta sicuramente falsa o sospetta (fonte ahref.eu).
Oggi la fiducia nei social e nell’informazione online aumenta, ma chi lavora in questo settore ha un compito ben preciso: verificare con cura le fonti. Altrimenti il rischio è quello di cadere in errori grossolani e dare voce a un fake. Ovvero a una notizia falsa.
Quale futuro per l’Italia?
Vero, il problema è anche culturale. Ovvero legato a una concezione diversa della rete come semplice luogo di consultazione, quando può essere qualcosa di diverso. Quando può essere un tassello importante per migliorare la tua vita.
La rete ha bisogno di banda larga. Ma la rete ha bisogno di idee e di terreno fertile per svilupparsi. Questi dati fanno ben sperare, soprattutto perché lasciano intravedere sfumature diverse all’interno della società. Sì, ci sono cittadini che raccolgono con entusiasmo le novità del digital.
Ma la strada per raggiungere un pieno utilizzo del web è ancora lunga. Sei d’accordo con questi dati? Credi che siano contestualizzati con la realtà? Secondo te in Italia c’è realmente un gran desiderio di superare il digital divide? Lascia la tua opinione nei commenti.
1 Comments
Lorenzo Trevisan
26/06/2015 at 1:27 PM -Ericsson (va notata la Luiss Business School e ci ritorniamo con URGENZA di seguito!)è una delle più autorevoli società di ricerca e “osservazione” strategica prima di tutto (leggi Intelligence), secondo la scuola svedese, che è in genere la scuola di tutto il Nord Europa. Di conseguenza evolve tecnologia all’avanguardia e fornisce servizi esclusivamente “solo e se serve” ed è legata agli aspetti del business strategico (“militare” per la sicurezza del paese ed esteso al continente geo-politico europeo), per questo non la si nota molto rispetto all’importanza e al ruolo che svolge. Attenzione perché l’abilità di evitare dispersione e concorrenza la pone su di un livello diverso, quello di essere quasi indenne dalla concorrenza e dal mercato. La partnership con SONY per l’Europa afferma una leadership nel settore e la dice lunga.
E’ possibile perciò il business diverso e lo insegna in un modo più evoluto, avanzato e paradossalmente con minor impatto diretto in apparenza sul mercato del consumo tangibile, quello tradizionalmente utile per le aziende di prodotti/servizi di massa. Certo è proprio questo IL PUNTO. La statistica è confermata anche dagli studi USA: l’Italia è il paese del telefono, oggi Smartphone per uso continuo della comunicazione “social”. L’indagine di mercato della Ericsson noi la recepiamo per la progettazione e la vendita di prodotti/servizi in Italia come in Europa (con SONY ma anche altri importanti) e nel mondo.
Ma c’è un’altra statistica che chiarisce tutto… senza “fonte” (logico, pensate il perché e collegatelo agli interessi di altri paesi sull’Italia), statistica negata più volte ma intuibile e risolve il problema di ogni discussione o studio sul PERCHE’ Italia. La COMUNICAZIONE in Italia è IMPRODUTTIVA, è incapace di finalità produttive. In altri termini è l’aspetto dell’inutilità comunicativa per il progresso culturale (prima che commerciale) a stupire. Tanta tecnologia, “parole” tecnologiche, parole comuni, comunicazione, website ben fatti anche da dilettanti oltre che da professionisti… ma scarsa produttività economica di fatto (poca ricchezza e quasi nessuna rendita dal lavoro svolto, quindi povertà economica per gli standard richiesti dall’economia produttiva contemporanea che non è “un gioco” virtuale di ego e vuole gli euro/dollari).
E’ verosimile il quadro? A tutti una sincera considerazione in rapporto alla nostra ECONOMIA POLITICA INDIVIDUALE, o meglio economia di mercato in luce del nostro PIL e quasi 8 milioni di disoccupati! Così il paese non ce la farà, è di serie “D”. Allo stesso tempo l’OCSE dal 2013, questo è ufficiale con relativo danno d’immagine quantificabile in miliardi di euro/mese, ci pone all’ultimo e penultimo posto in Europa per l’istruzione e la formazione produttiva e la capacità di capire ed interagire con il “dialogo” (alla faccia della notevole fruizione social…) ma sopratutto di elaborare il Progresso per l’autosostentamento economico individuale.
Peccato che il potenziale riconosciuto allo stesso tempo proprio da questi studi è stato e rimane notevole, ma intanto vendono bene i prodotti. Più semplice per i paesi concorrenti a moneta unica la gestione dall’estero vista un’Italia in condizioni irrecuperabili secondo gli esperti del cashflow, una nazione a confini aperti “a tutto” con un dialogo (ancora!) senza protezione politica e commerciale dall’interno. Essa sarà sotto “controllo” per l’improduttività a favore di altri e più organizzati paesi dell’Unione stessa. O meglio si “autocontrolla” in negativo senza lo sforzo di altri e a loro favore.
Come ripeto in quasi ogni personale considerazione in Italia non c’è il concetto del BUSINESS (etico ancora meno, anzi proprio non si sa cosa sia tecnicamente). Tutto il meglio e l’energia viene rivolta e svenduta al peggio di una “speranza” infondata che è la nostra cultura di “massa”. E’ saggio? Pensiamoci ma sopratutto più che speculare in considerazioni logore (sempre utili!), dobbiamo correre ai ripari e agire di FATTO. Ognuno è libero di pensare ciò che vuole e lo hanno permesso, anzi suggerito, questo è il risultato. Ci piace? Sperare nella “banda larga” è sostituire il mezzo con il fine e non cambia nulla. Di mezzi già ce ne sono e più paesi anche meno tecnologicamente dotati ci hanno superato da almeno un decennio. Il problema è perciò un’altro, DI CERTO CULTURALE. Chiaro secondo me, no?
Grazie a MediaBuzz per il post! Nessuna contraddizione con lo status dell’arretratezza culturale italiana e la sua ipertecnologia non effettiva. Tutto spiegato. Ericsson senza volerlo ci ha fatto un favore indiretto. E che favore, chi ha orecchi intenda. E’ di altissimo valore.